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Case senza atrio a Pompei: un evoluzione architettonica e sociale

Photo: Parco Archeologico di Pompei - Casa IX 12, B. Quadro con raffigurazione di Ippolito e Fedra

Il modello tradizionale della casa romana, con il suo atrio centrale, ha subito un'evoluzione significativa a Pompei nel 79 d.C. Mentre la mancanza di spazio spiega l'assenza dell'atrio in abitazioni modeste, un numero considerevole di case di un certo livello, decorate con pitture e arredi di pregio, hanno scelto di rinunciare all'atrio pur avendo lo spazio sufficiente per costruirlo.

Tratto dalla conferenza della prof. IRENE BRAGANTINI
docente Istituto Universitario Orientale di Napoli, tenuta il 28 ottobre 2000.

ArchaiOptix, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

In uno spazio di tempo di un centinaio d’anni, più o meno tra il 30 a.C. e la fine di Pompei, la variazione del modo di dare forma figurativa, di comporre i quadri, ci permette di gettare uno sguardo sulla mentalità di questa committenza, la quale nel I secolo a.C. si compone sostanzialmente di classi sociali alte che, facendo decorare la casa con pitture e pavimenti, segnalano il modo di vivere di chi vi abita. Con la fine del I secolo a.C. e poi con le due o tre generazioni che conosciamo dalle testimonianze dei centri vesuviani, rileviamo un notevole cambiamento nella committenza, che da questo momento compare oltre che tra i ceti più elevati anche tra le classi economicamente e socialmente inferiori. Naturalmente, incontriamo sempre personaggi liberi che possiedono la casa decorata, ma non hanno più l’esigenza di strutturare in maniera gerarchica la decorazione della loro casa, perché essa si presta a riti sociali che distribuiscono gerarchicamente un pubblico di persone dipendenti dal padrone di casa rispetto ad un pubblico di amici o giullari. Questa è la premessa per capire quali sono i soggetti rappresentati dai dipinti delle case pompeiane. Ad esempio, sui quadri conservati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli raffiguranti la liberazione di Andromeda da parte di Perseo, che aiuta l’eroina a scendere dalla roccia alla quale era legata, di recente sono emerse delle novità nel campo degli studi che hanno rivoluzionato il modo di “guardarli”. Prima dello studio condotto una decina d’anni fa da un archeologo tedesco, Bernard Smartz, queste pitture erano state sempre considerate copie di dipinti greci eseguiti nel IV secolo a.C., durante il periodo tardo classico, da un famoso pittore, Nicia, a noi noto solo grazie ai testi. Smartz ha provato a “guardarli” diversamente, giungendo a delle conclusioni, credo, inaspettate e molto interessanti. La sua versione è essenzialmente questa: in questo quadro è tutto già successo. Normalmente, nelle composizioni di epoca classica o tardo classica le storie sono narrate in modo da condensare tutto il significato attraverso un’unica scena, che rappresenta il momento più emozionante, più ricco di pathos, della storia stessa, e che accenna a un prima e un poi che si suppone l’osservatore conosca. Qui, invece, l’eroina, legata alla roccia e minacciata da un mostro marino, è già stata liberata da Perseo, che tiene nella mano sinistra la testa della medusa e la piccola arma con cui l'ha uccisa; il mostro marino che faceva la guardia ad Andromeda è già a terra morto. Perciò, la grande novità del lavoro di questo studioso tedesco è aver messo in rilievo il fatto che questo modo di raccontare per immagini una storia non attraverso un momento culminante più denso di pathos, ma nel momento in cui tutto è già avvenuto, però, al tempo stesso, mettendo didascalicamente in fila tutti gli elementi che compongono la storia (appunto la medusa che accenna all’impresa di Perseo, il mostro marino che la custodiva), non è concepibile, e in questo io sono del tutto d’accordo con la sua teoria, in epoca classica e tardo classica, alla quale risalirebbe l’originale di Nicia, verso la seconda metà del IV secolo a.C. Questa che apparentemente è un’osservazione di dettaglio, secondo me invece, serve a scatenare una serie di reazioni a catena, che in primo luogo c’inducono ad osservare questi quadri non come copie di originali d’alto status, non come oggetti che sono presenti perché riproducono un’opera d’arte nobile in sé, indipendentemente da ciò che rappresenta, ma piuttosto come oggetti prodotti nell’epoca dalla quale ci sono giunti, contrariamente a ciò che sostengono i manuali universitari, che collocano questi quadri in epoca ellenistica. Anzi, potremmo seguire i risultati dello studio di Smartz per cercare di capire per quale motivo in età augustea la storia si racconta in questo modo. Una prima deduzione da fare è che, se questi quadri hanno “ingannato” il fior fior degli studiosi di pittura antica, la ragione va ricercata non in un’incapacità da parte loro, ma nel fatto che sono pervasi da un notevole neoclassicismo formale, che, comunque, pervade il clima artistico dell’età augustea, durante la quale i decoratori abbandonano le prospettive e le scenografie del II stile a vantaggio di una decorazione parietale molto più statica. La stessa metodologia la possiamo leggere nelle figurazioni prima citate e in altri casi. Ad esempio, un quadro, conservato al Museo Nazionale di Napoli, che rappresenta probabilmente un mito affine a quello di Perseo, conferma che in età repubblicana, precedente all’età augustea cui risale il quadro dei due eroi, il modo di raccontare una storia è quello raffigurato qui: tutto deve ancora succedere, siamo nel momento della lotta, perché l’eroe in primo piano deve lottare con il mostro marino in basso a destra, e l’eroina è ancora legata alla roccia. Sembra di poter affermare che in età augustea, negli ultimissimi anni del I secolo a.C., assistiamo ad una notevolissima creazione d’immagini, un travestimento mitologico di una mentalità che sembra affidare a comportamenti eroici, in questo caso la figurazione dell’impresa di Perseo, un ruolo importante nella raffigurazione della casa, dando luogo ad una svolta rispetto all’età precedente. Lo stesso procedimento provato sui quadri precedenti è stato tentato dallo Smartz sul quel quadro famosissimo con Teseo e l’imperatore proveniente dalla basilica di Ercolano, uno dei primi quadri ritrovati nel ‘700 ad Ercolano e ora al Museo Nazionale, considerato anch’esso la copia di un originale tardo classico. Lo studioso vi nota due particolari iconografici, prima di tutto nella storia di Teseo, che libera i giovani ateniesi ed è circondato da bambini, non da ragazzi più grandi. Il gesto di gratitudine dei bambini nei confronti dell’eroe è espresso attraverso il bacio della mano. Fa da pendant a questo quadro quello rappresentante le nozze di Peritò, in cui il gesto del bacio della mano, che i bambini facevano a Teseo, è fatto dai centauri. Ancora una volta, grazie ad un’analisi particolareggiata, è stato messo in rilievo come il gesto del bacio della mano sia totalmente estraneo alla mentalità greca classica e tipica del mondo periferico (è famoso il bacio della mano di Achille da parte di Priamo, che va a chiedere il riscatto del porto di Ettore). Difficilmente un pittore d’epoca classica avrebbe rappresentato un soggetto così estraneo alla mentalità e all’iconografia greca per significare, ad esempio, il gesto di gratitudine dei fanciulli ateniesi nei confronti di Teseo.

L'alata Nemesi (Vendetta) punta il dito verso la nave di Teseo che ha appena abbandonato Arianna, in lacrime. Conservato al Mann
Naples National Archaeological Museum, Public domain, via Wikimedia Commons

Si sottolinea, inoltre, come nel periodo augusteo furono coniate delle monete in cui molto spesso il barbaro è così rappresentato. Anche in questo caso dovremmo, per così dire, sgombrare la testa da questa nostra abitudine a considerare sempre questi quadri come copie di quadri più antichi, procedimento che nasce soprattutto per la scrittura, ma che per la pittura non è testimoniato con la stessa coerenza. Un’abitudine che in questo campo risale alla scienza tedesca dell’Ottocento è quella di non essersi mai posti il problema se si trattassero veramente di copie, e di avere accettato pedissequamente questa concezione. In realtà dovremmo considerarle creazioni eclettiche dell’età augustea, realizzate in quell’epoca, naturalmente su schemi più antichi, ma rispondendo a determinate esigenze della mentalità del tempo. In altri quadri vediamo Teseo che abbandona Arianna perché chiamato da Atena a fondare Atene, così come nell’epopea virgiliana Enea abbandona Didone perché chiamato a fondare Roma. Esiste il sospetto che queste figure eroiche adombrino la figura di Augusto come rifondatore di Roma. Ciò è molto importante se dobbiamo considerare tali pitture travestimenti mitologici di una mentalità contemporanea. A parte tutto, dal momento che originariamente erano collocati in modo da dirigere lo sguardo verso la parete di fondo, certamente non sono copie nel senso vero della parola, perché sono stati sottoposti ad una serie di adattamenti funzionali alla loro nuova ambientazione nella casa. I mosaici, conservati al Museo Nazionale tranne uno che è in situ a Pompei, raffiguranti la lotta di Teseo con il Minotauro, servono a sottolineare che la tradizione figurativa pre-augustea, e quella successiva fino alle soglie dell’impero, non è raccontare la storia finita con tutti i suoi elementi messi in fila uno accanto all’altro, ma scegliere il momento più ricco di pathos che condensa un prima e un dopo. In un mosaico la lotta col Minotauro è inserito in un pavimento che raffigura il Labirinto, che si presenta in età imperiale in una versione che già si avvia verso il romanzato, quella della storia d’amore tra Arianna e Teseo, in quanto, in questo caso, è rappresentato il momento in cui Arianna sta consegnando a Teseo il filo che lo aiuterà a uscire dal Labirinto, a dimostrazione del fatto che, nell’ambito delle rappresentazioni, il clima eroico dell’età augustea, nel corso dell’età imperiale, diventa più laico e mondano, per via della mutata committenza culturalmente meno esigente; i personaggi rimangono gli stessi, ma le storie sono stravolte dal punto di vista iconografico. Così Perseo e Andromeda sono raffigurati come una qualunque coppia di amanti, riconoscibili solo per l’attributo iconografico della testa di Medusa che Perseo regge sulle spalle e che in alcuni quadri si riflette nell’acqua; la storia ha ormai cambiato completamente clima e si avvia verso narrazioni che, secondo me, non hanno più nulla dello spirito eroico originale. L’archeologia conferma l’emergere di una committenza che, nel caso di Pompei, è stata sempre legata alle conseguenze del terremoto, quindi all’impoverimento e al cambiamento della popolazione all’interno della città, ma che, in realtà, fa parte di un fenomeno generale molto più vasto, sicché, nell’arco di tre generazioni, si assiste a un cambiamento del clima che si respira all’interno di una casa romana media. Essa non è più la casa repubblicana dove il “dominus” riceve i suoi clienti o i suoi uguali, ma il luogo destinato all’accoglimento di amici, in cui si vive indipendentemente da quelle funzioni di gerarchia sociale che caratterizzavano la casa repubblicana. In un quadro si intravede la barca di Teseo che si allontana, mentre in primo piano è la scena lacrimevole della fanciulla abbandonata; i personaggi restano invariati, ma il clima è molto cambiato rispetto al clima eroico delle raffigurazioni precedenti. La barca sullo sfondo serve solo a far capire l’identità della fanciulla in primo piano, che altrimenti potrebbe essere scambiata per un’eroina qualsiasi. Una versione della storia di Anteone che guarda Diana che si fa il bagno non accenna minimamente alla punizione divina che costringe Anteone a spiare Diana, ma trasferisce la narrazione in un’atmosfera con connotazioni erotiche, che non ha nulla in comune con le rappresentazioni precedenti. Un’altra storia che cambia di clima è quella di Polifemo e Galatea. Un quadro rappresenta Polifemo, in piedi sulla roccia, che scaglia il macigno contro la nave di Ulisse sempre più lontana. Ancora in età augustea, la storia è inserita in una composizione più grande che ne scioglie la narrazione rispetto all’esempio di prima. Polifemo, ritratto con la lira in mano, è diventato una specie di poeta e consegna all’amorino la lettera per Galatea. Anche in questo caso, il clima si fa molto più narrativo che in precedenza. Una versione, recentemente riesposta al Museo Nazionale di Napoli insieme all’ex collezione pornografica, raffigura Polifemo e Galatea come una coppia di amanti; Polifemo è riconoscibile solo dall’ariete e dal flauto. La caduta di Icaro, dipinta nella Villa Imperiale di Pompei, in cui si riconosce il padre che vola in primo piano con le ali ancora aperte, e, a terra, Icaro, in età imperiale, a differenza delle altre storie che continuano ad essere rappresentate seppur con vari cambiamenti, non è quasi più rappresentata: ce ne rimangono soltanto due esempi, evidentemente perché mal si adattava al cambiamento di clima cui si prestarono le altre storie. Negli anni 60 del I secolo d.C. la pittura romana comincia a “morire”. Gli spazi riservati all’imperatore sono rivestiti non più di pittura, ma di marmo. In quel momento, la committenza medio-bassa non aveva più la possibilità di imitare in poco tempo la committenza più alta, perché nel frattempo l’imperatore si era dato al lusso dei materiali. Non a caso le pitture successive, come quelle di Ostia, sembrano pitture di Pompei attardate, perché nel momento in cui viene a mancare la grossa domanda di una committenza economicamente e socialmente molto forte, le botteghe dei pittori abbassano il livello qualitativo delle loro opere, che spesso si riducono a sterili ripetizioni. Questa precisazione ci porta a concludere che al committente romano fosse ben chiara la diversa importanza delle pitture, alcune delle quali di status altissimo, come i quadri di Apelle nel Foro di Augusto, che evidentemente erano richieste in contesti diversi secondo la loro natura.

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