"Benvenuto guadagno!": questo è uno dei motti rinvenuti nelle scritte graffiate sui muri della città.
Pompei era una città molto attiva e nel corso del II e del I secolo a.C. si era gradualmente industrializzata. Ogni otto giorni, come nelle località vicine, si teneva il mercato. In principio è probabile che a Pompei il commercio sia stato concentrato nel quartiere che circondava il Foro, ma a partire dal II secolo a.C. l'area commerciale si estese in direzione di Via dell'Abbondanza, trasformata in una successione quasi ininterrotta di negozi e taverne.
L'attività principale dei commercianti di Pompei consisteva nella vendita dei prodotti agricoli. I Vetti, ad esempio, producevano molte qualità di vino, come testimoniano le raffigurazioni pittoriche rinvenute nella loro casa. Nelle taverne cittadine il vino era coservato in grossi orci di terracotta, tenuti a fresco nelle cavità circolari ricavate nel banco di vendita in marmo. Molte taverne erano attrezzate per servire vino caldo, che era una prelibatezza per gli abitanti della città antica. Alcune taverne avevano, oltre al negozio sulla strada, locali sul retro dove i clienti potevano sedersi, mangiare e godere degli spettacoli proposti. La maggior parte dei prodotti consumati nelle locande e nelle botteghe proveniva dai cascinali nei dintorni di Pompei e Stabiae, che fornivano grandi quantità di olio, vino, frutta, verdura e cereali. Nel corso del II secolo a.C. in Campania si era diffusa la coltivazione dell'ulivo che nell'area intorno Pompei aveva acquistato grande importanza. Le macine per le olive, fabbricate con la pietra lavica del Vesuvio, erano capaci di separare la polpa dal seme ed erano formate da due ruote collegate da una traversa di legno che ruotavano su un perno di ferro infisso in una vasca.
Anche i frantoi per macinare il grano erano costruiti in pietra lavica, avevano una pietra cava posta sulla sommità di una seconda pietra. Il grano veniva rovesciato nella cavità della pietra superiore che ruotando costringeva i chicchi di grano a passare tra le due pietre frantumandolo. La roteazione era effettuata mediante due bracci orizzontali in legno, azionati da un asino o dagli schiavi.
Con la farina ricavata veniva prodotto il pane, che nel II secolo a.C. era diventato già di uso generale. Le panetterie erano dotate in genere delle macine, di un ambiente per preparare l'impasto, un forno per la cottura e di un locale per la vendita del prodotto finito. Ulteriore attività commerciale che rivestiva molta importanza a Pompei era quella della lana. I Campani avevano ereditato dai Sanniti una predisposizione alla tessitura della lana che veniva raccolta nei greggi della regione. Una volta portata in città la lana veniva lavata, stirata e tinta. I tessuti ricavati venivano trattati con carbonato di sodio, potassa ed orina umana, che i passanti erano invitati a fornire servendosi di appositi vasi appesi al muro. Dalla lana si ricavava anche il feltro, materiale molto richiesto per la fabbricazione di cappelli, mantelli e coperte era il feltro. Esso era fissato con aceto che, dopo essere stato riscaldato, veniva versato sulla lana da uomini che stavano inpiedi, nudi fino alla cintola, in profonde tinozze. Una volta impregnata ed infeltrita, la lana veniva pressata e lavorata fino ad assumere la consistenza necessaria. Molte attività commerciali erano concentrate nel macellum o mercato alimentare. Si trattava di una vasta area chiusa contenente negozi, cappelle, sale per le aste, cambiavalute, mercato ittico. A Pompei la pesca era molto diffusa come ad Ercolano dove sono stati trovati numerosi attrezzi per la pesca (reti ed ami). Un dipinto portato alla luce a Pompei, in un tempio domestico, riproduce delle barche da pesca che navigano su un fiume (probabilmente si tratta del fiume Sarno, che in molte case era oggetto di culto). Il porto principale da pesca doveva trovarsi alla foce del Sarno, che a quei tempi era distante circa un chilometro dalla Porta di Stabia. Con il pesce pescato veniva prodotto il famoso garum, alimento prelibato per i pompeiani. Altre attività di cui è rimasta testimonianza sono le produzioni di profumi, le coltivazioni di fiori e di aglio. I Pompeiani non soddisfatti dei prodotti locali acquistavano merce di importazione. Le lampade venivano importate dall'Italia settentrionale, mentre il vasellame era acquistato nelle Gallie ed in Spagna. Il vino e l'olio veniva importato dalla Spagna, dalla Sicilia e da Creta.