Questo edificio era un’antica lavanderia portata alla luce dagli archeologi nel 1911 e tuttora molto ben conservata; è l’unica delle quattro fulloniche di Pompei rimessa quasi completamente a nuovo. L’ingresso è molto ampio, molto simile a quello di una bottega, in modo tale da consentire il passaggio continuo dei clienti. Al momento dell’eruzione un solo uomo era presente all’interno con un mucchio di denaro, probabilmente l’ultimo incasso dell’attività (ma lo stesso scheletro potrebbe appartenere ad un viandante in cerca di riparo dalla lava).
Le fulloniche servivano sia per finire i tessuti che dovevano essere sgrassati dopo i lavori di filatura e tessitura, sia per la semplice pulizia dei tessuti usati. A quanto pare i Romani erano molto attenti alla pulizia e all’ordine dei loro abiti. I clienti per ritirare i loro abiti dovevano attraversare una sala dove si trovava la pressa e un atrio. Oltre l’impluvium ci sono altre tre vasche comunicanti e cinque bacini.
Il tessuto veniva posto nei pestatoi dove veniva pestato con acqua e soda ( il sapone importato dalla Gallia era praticamente sconosciuto a Pompei) o urina animale e umana.
Quest’ultima veniva raccolta nei vespasiani, bagni pubblici che prendono il nome dall’imperatore che emanò appunto questo decreto. Una volta trattati i tessuti venivano lavati con creta fullonica o con terra umbrica, battuti e cardati. I tessuti bianchi o quelli che erano stati tinti dovevano essere zolfati per essere lucenti. L’ultimo passaggio era quello di stiratura sotto la pressa. Questo edificio era provvisto anche di una terrazza dove i panni venivano messi ad asciugare.
La fullonica può essere paragonata ad una vera e propria industria moderna: è presente anche la mensa dove gli operai potevano rimanere a mangiare durante l’orario di lavoro. Negli ambienti troviamo anche alcune decorazione di ultimo stile e alcuni programmi elettorali con iscrizioni.
Autore: Giovanni Lattanzi - pubblicato in data 16 dicembre 2009